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“Normale”,
si fa per dire
di Guglielmo Vezzosi
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Nel
solco di una grande tradizione, Pisa oggi può vantare
l’eccellenza di un sistema universitario e di ricerca
che non teme confronti.
Le
pietre delle case torri medievali e delle fastose dimore
gentilizie che si affacciano lungo l’Arno sono spalle
robuste per reggere il peso di tanti secoli di storia
e per tenere alto il nome di una cultura e di una tradizione
di studi che in questa città ha radici molto profonde.
Dovunque,
camminando nel dedalo di vicoli e strade di Pisa, è possibile
scorgere gruppi di studenti che entrano ed escono da palazzi
storici oggi sedi di biblioteche e dipartimenti universitari.
È
l’epilogo di un lento mutamento che in pochi decenni ha
cambiato il volto della città: e così, sotto le volte
di saloni affrescati dai quali fanno capolino vivaci e
un po’ irriverenti angioletti settecenteschi, non si celebrano
più i fasti dell’aristocrazia cittadina, ma si aprono
spesso aule di facoltà universitarie e laboratori ad altissima
specializzazione dove ogni giorno si abbattono le ultime
frontiere della ricerca scientifica e tecnologica.
È
un po’ questo il campus
pisano, cioè una città viva e moderna nata nella città
antica e della memoria, costruita un pezzo dopo l’altro
attraverso una “campagna acquisti” compiuta dall’ateneo
rendendo inoltre possibile il salvataggio e il restauro
di importanti edifici collegati al nome e alla storia
di Pisa. La
presenza dell’Università e di importanti sedi di ricerca
riscatta anche il nome di Pisa da quel torpore e da quella
sindrome comuni anche ad altre città che, dopo una gloriosa
e sfolgorante stagione vissuta nei tempi antichi, trasformano
il proprio passato nell’alibi per un presente fiacco e
indolente.
Della
potenza dell’antica Repubblica Marinara - sconfitta dai
genovesi nel 1284 nella battaglia navale della Meloria
- restano tracce e testimonianze indelebili a partire
dai candidi marmi della piazza dei Miracoli, ma il ricordo
della forza perduta si è trasformato in una macerata e
uggiosa malinconia architettonica, monumentale, persino
umana, che da secoli accompagna il lento scorrere delle
acque dell’Arno.
La
nascita dello Studio Pisano - che risale al 1343 con la
bolla pontificia In supremae dignitatis - ha contribuito
a riscattare, almeno in parte, questa immagine.
Oggi
l’Università è strutturata su 11 Facoltà e 57 Dipartimenti
per un totale di oltre 48mila studenti, ma nel suo primo
periodo non ha certo avuto vita facile, risultando direttamente
coinvolta nelle vicende politiche dell’epoca. Basti dire
che dopo la ribellione di Pisa alla signoria fiorentina
(1494) conclusa con un lungo assedio e la successiva riconquista
della città (1509), l’ateneo viene trasferito prima a
Prato e poi a Pistoia.
È solo
con il granduca Cosimo I de’ Medici (1519-1574) che l’ateneo
ottiene nuovi finanziamenti e Statuti diventando uno dei
massimi centri di ricerca e di insegnamento a livello
europeo: sono gli anni dello scienziato pisano Galileo
Galilei (1564-1642) che formula la teoria dell’isosincronismo
del pendolo osservando le oscillazioni di un lampadario
all’interno della cattedrale.
Nel
XVI secolo nasce anche l’Orto Botanico (1544), per iniziativa
del medico Luca Ghini: è il più antico al mondo insieme
a quello di Padova.
Dopo
il rinnovato interesse e impulso dato all’Università nella
seconda metà del Settecento dai granduchi della nuova
dinastia, gli Asburgo-Lorena, nel periodo napoleonico
l’ateneo viene trasformato in Accademia Imperiale, ma
soprattutto nasce (1810) la Scuola Normale Superiore,
creata sul modello di quella di Parigi.
La
più prestigiosa Scuola di eccellenza italiana ha sede
nel palazzo della Carovana, che deve il suo aspetto attuale
(1562) al genio e alla mano di Giorgio Vasari. Siamo in
piazza dei Cavalieri e qui nell’antichità sorgeva il Palazzo
degli Anziani del Popolo e svettava una Torre della famiglia
Gualandi, tristemente nota per esservi stato rinchiuso
e fatto morir di fame (1289) il conte Ugolino della Gherardesca
insieme ai suoi due figli e nipoti, tutti immortalati
in un celebre passo nel canto XXXIII dell’Inferno dantesco.
Non
molto lontano, in via della Faggiola, a poche decine di
metri dalla piazza, sorge la casa dove Giacomo Leopardi
nel 1828, durante il suo soggiorno pisano, compose A Silvia.
Il
portone dell’abitazione è sempre quello conosciuto dal
poeta e ancora oggi, ogni settimana, una mano gentile
vi depone un mazzolino di fiori freschi in omaggio al
cantore di Recanati.
Nelle
stanze che ospitarono Leopardi si trovano alcuni dei laboratori
più moderni della Scuola Normale.
Sono
le frontiere avanzate della ricerca, sia in campo scientifico
che umanistico, quelle in cui si gioca una grande scommessa:
vincere la competizione della conoscenza e del sapere,
sfida strategica per una Università che voglia essere
all’avanguardia. In una nuova realtà che chiede sempre
più tecnologia, informazioni e un rapporto ancora più
stretto tra industria e ricerca, la Scuola Normale non
ha alcuna intenzione di chiudersi in se stessa. Con i
suoi due secoli di storia e con le sue glorie incorniciate
(Giosué Carducci, Carlo Rubbia ed Enrico Fermi, per citare
solo i Premi Nobel), essa adotta un modello preciso per
formare studenti, scienziati e cittadini.
Basta
scorrere l’elenco di tutti gli allievi, dal 1810 ad oggi,
per rimanere impressionati: oltre ai tre Nobel, vi figurano
i nomi di due presidenti della Repubblica (Carlo Azeglio
Ciampi e Giovanni Gronchi), fisici, matematici, filologi
e grandi scrittori.
Ogni
anno la selezione per entrare è molto severa, ma in quasi
due secoli questa Scuola ha sempre tenuto fede alla sua
tradizione e continuato a formare una bella fetta della
classe intellettuale e dirigente italiana.
In
un ex monastero benedettino del XIV secolo, immerso nel
cuore del centro storico, completamente ristrutturato
e circondato da giardini e spazi verdi, ha invece sede
l’altra scuola di eccellenza pisana, la Scuola Superiore
di studi universitari e di perfezionamento Sant’Anna,
nata nel 1987 dalla fusione della Scuola Superiore di
studi universitari e di perfezionamento con il Conservatorio
Sant’Anna, due istituzioni eredi di una lunga e consolidata
tradizione di studi.
In
questa Scuola, che ha dato la laurea, tra gli altri, all’ex
presidente del consiglio Giuliano Amato e agli ex ministri
Enrico Letta e Antonio Maccanico, si entra superando una
selezione che verifica potenzialità, attitudini e curiosità
intellettuali dei candidati.
La
Scuola ha accresciuto negli anni la propria offerta formativa
con l’obiettivo di sperimentare percorsi innovativi nella
ricerca e nella formazione ad altissimo livello, per rispondere
alle crescenti istanze di modernizzazione e innovazione
della società.
Ma
Pisa, città della scienza, possiede anche un altro primato:
all’ombra della Torre pendente è infatti nata la Cep -
Calcolatrice elettronica pisana, il primo calcolatore
progettato e costruito in Italia. Tutto iniziò per un
suggerimento di Enrico Fermi.
Era
il 1953 e le province di Pisa, Lucca e Livorno misero
a disposizione la somma, significativa per quei tempi,
di 150 milioni di lire per la realizzazione di un sincrotone
(che venne poi costruito a Frascati).
Fermi
suggerì di utilizzare la maggior parte di quel finanziamento
per progettare e dar vita a un calcolatore elettronico,
la Cep appunto.
Il
gruppo di ricerca che l’aveva ideata confluì poi nel Csce
- Centro studi calcolatrici elettroniche del Cnr - Consiglio
Nazionale delle Ricerche che oggi a Pisa ha uno dei suoi
più importanti insediamenti: ben 15 istituti per un centro
di ricerca che è incubatore di tecnologie e professionalità
che ne fanno una struttura di assoluta eccellenza a livello
nazionale e internazionale.
Insomma,
Pisa come città di ingegno, arte e cultura, nei secoli
ha stregato giovani innamorati e severi professori, dotti
scienziati e disincantati narratori, ispirandone scritti
e ricordi molti dei quali tramandati su pagine rimaste
indelebili.
Guglielmo Vezzosi, giornalista de La Nazione
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