L'urbanista Pierotti riparte
all'attacco del Comitato
Torre, cosa non fare
La sua ricetta per salvare il campanile
di Arianna Ceccarini
PISA - Al capezzale di questo grave malato cronico si sono affaccendati negli ultimi
decenni svariali tipi di clinici, tentando altrettanti generi di cure.
Ma qual è lo stato di salule attuale della torre campanaria? A questo quesito ha cercato
di rispondere il prof. Piero Pierotti, del diartimento di storia delle arti
dell'università, urbanistica, che da molti anni si è appassionato a questo argomento
dedicandovi la stesura di importanti testi (citiamo per tutti quello del'90 dal titolo
emblematico ("Una Torre da non salvare"), nel corso di una conferenza tenuta ai
soci del Rotary Club Pisa Galilei lo scorso giovedì. Le posizioni di Pierotti sono certo
ben note a chi segue le vicende di questo singolare monumento, visto che in più di
un'occasione è entrato in polemica con gli appartenenti al comitato che si occupa dei
lavori per il consolidamento. Il relatore sostiene che il momento di più grave pericolo
attraversato dalla Torre è stato tra l'8 ed il 9 settembre del '95, mentre si stava
facendo il congelamento, del terreno sottostante per la presenza (composto in gran parte
da limo) al cosidetto catino con dell'azoto liquido; egli pensa ad un errore di
progettazione dell'operazione e non, come sostennero alcuni membri del comitato, ad un
imprevisto di cantiere per la presenza di materiale di cui non si conosceva l'esistenza.
Pierotti lamenta il fatto che alcuni dei responsabili di questa scelta facciano ancora
parte del comitato stesso e secondo lui degli interventi sulla Torre non trapela nulla che
le istituzioni non vogliano. Quest'ultimo è, secondo il professore, il punto più
importante della questione, poichè l'informazione sulle tecniche da attuare darebbe la
possibilità di una fattiva collaborazione di un grande numero di esperti che unirebbero i
loro sforzi a quelli della commissione per salvare il malato. Altro errore, secondo
l'urbanista, sarebbe quello di iniettare una miscela di malte cementizie all'intenno delle
fratture storiche dei muri, che sono costruiti secondo la tecnica romana del calcestruzzo,
costituente la struttura portante della costruzione e poi rivestiti esternamente con uno
strato di circa 40 cm di marmo, perchè tale intervento presenterebbe un sicuro rischio di
irrigidimento della struttura che invece è alquanto elastica, poichè vento, microsismi e
variazioni climanche la fanno oscillare di circa 1 mm al giorno. Del rapporto di
scompensazione tra il terreno e l'edificio sarebbe responsabile il sistema di piombi che
attualmente lo ancora al suolo; mentre non risolverebbe il problema della pendenza con la
nuova soluzione prospettata delle cosidette "bretelle" che sottoporrebbero
l'edificio a tensioni orizzontali non sopportabili dal rivestimento posto in verticale. La
ricetta del Pierotti per salvare il monumento è quella di ricostruire un robusto sistema
di sottofondazioni, dove era stato gettato del cemento e poi successivamente rimosso, ma
sottolinea come "soprattutto i pisani tutti debbano premere perchè gli interventi
realmente mirati alla conservazione si facciano in modo puntuale e corretto (e non per
tentativi) concludendo con una divertente battuta: 'Si è saputo che la mafia intendeva
buttare giù la Torre, ma abbiamo già chi ci pensa". |